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The Monet Story - Pt 3

Aggiornamento: 8 ott 2022

Sospetto che i più attenti tra i lettori abbiano notato la pressoché assenza, fin qui, di una certa parola. La parola in questione essendo, ovviamente, cuore. Tale scarsità non è casuale.

Se da un lato la scintilla di cui ho parlato aveva fornito una porta per la mia psiche, mettendo al tempo stesso le cose in moto, dall'altro la sofferenza e la frustrazione tornavano inevitabilmente a galla non appena avvenisse una separazione dalle attività musicali. Talvolta con grande violenza.

Benché nubi di gas e polveri stessero collassando dentro di me per dare vita a nuove stelle, il mondo esterno risultava ancora terrificante ai miei occhi. Mi sentivo vulnerabile e minacciato, giudicato e pieno di vergogna per la mia condizione pietosa. Nulla sembrava più contenere bellezza o meraviglia, semplicemente perché mi precludevo tale possibilità.

Un trauma, fisico e psicologico, faceva sì che nessuna emozione potesse entrare o uscire.


Quando mi sono seduto per scrivere tutto ciò, ho sentito un suono inconfondibile, sordo e ritmico. Mi sono voltato, sospendendo la mia attività per qualche minuto, per trovare un meraviglioso picchio all'opera sull'albero di acacia a pochi metri di distanza.


Femmina di Dendrocopos (fonte: Wikipedia)

È davvero un privilegio e una gioia poter contemplare la vita in questa maniera.

Con un sorriso mi volto nuovamente, per ritrovare l'uccello sull'albero di acacia. Avevo la sensazione che sarebbe tornato[1], il che mi ricorda le celebri parole di Einstein: "Credi davvero che la Luna non sia lì quando non la guardi?".

Tutto nella vita sembra bramare la presenza di un osservatore. Il genere umano lo fa da tempo immemore, molto tempo prima di sbirciare nel mondo quantico.

Ricordate quella scrittura vedica? Due uccelli, compagni inseparabili, trovano riparo nel medesimo albero. Uno dei due mangia il dolce frutto; l'altro, senza mangiare, guarda attentamente.

Il mio credo è che - fisica quantistica e induismo a parte - se sorridi alla vita, essa ricambierà il sorriso.


Di certo non avrei potuto dire lo stesso qualche anno fa, quando non ero nemmeno in grado di vederla la Luna. È difficile vedere una montagna quando ci stai sopra, figuriamoci un corpo celeste. Ebbene sì: a differenza della mucca, non riuscii a saltare oltre la Luna[2]. Il mio tentativo fu, piuttosto, un atterraggio di (s)fortuna.


Atterraggio di sfortuna sulla superficie lunare

Aveste puntato il telescopio verso il cielo, mi avreste anche potuto vedere. Le probabilità di osservazione diretta, in ogni caso, sarebbero state davvero scarse.

La base lunare dove trovai riparo, vedete, si rivelò confortevole e ben fornita. Perché lasciare un posto simile? Non che ci fosse molto da vedere fuori, del resto.


Occasionalmente, tuttavia, ero costretto ad avventurarmi all'esterno nella mia unica e compromessa tuta spaziale per adempiere missioni cruciali. Questo c'era da aspettarselo: dopotutto, sono nato il 21 luglio[3]. In simili occasioni, si trattava di una lotta contro il tempo, in cui controllavo continuamente il livello dell'ossigeno, terrorizzato dall'eventuale guasto del mio PLSS[4].

Non solo queste situazioni di vita o di morte condividevano lo stesso senso di terrore, ma anche la medesima vista: quella che finii per maledire. Il mio respiro affannoso, i passi goffi e agitati... non significavano nulla per lei. Madre Terra era troppo impegnata, girando sul proprio asse a 30 Terre di distanza, per curarsi del figlio smarrito; troppo presa dal danzare in tutto il suo colorito e indifferente splendore. Una ballerina piroettante in una palla di vetro con neve, le stelle fiocchi congelati in arresto estetico[5].

Col tempo, finii per credere che avesse egoisticamente risucchiato tutti i colori entro la sua portata, lasciandomi poco più di qualche sfumatura di grigio su cui camminare.

Simili occhiate sprezzanti erano, come se non bastasse, una sorta di lusso, dovendo prestare grande attenzione all'ostile e sterile paesaggio lunare. Ero una specie di Re Pescatore dell'era spaziale, un Re Ferito degno invero della sua terra desolata. La ferita essendo la mia sensibilità.

Il lettore deve sapere che, maledicendo la bellezza, mi sono trasformato in una bestia - sciocca, per giunta! Una bestia solitaria e dimentica del fatto che la bellezza è negli occhi di chi guarda[6].

Perché ciò che stavo maledicendo, in verità, era il mio cuore, quel forziere pieno di meraviglie in attesa soltanto di sgorgare come un arcobaleno.

Siamo la luce, gli occhi e lo specchio. Siamo i donatori e i riceventi: raccogliamo ciò che seminiamo. Così come l'atmosfera terrestre tinge i cieli e le lune di numerosi colori, il cuore dipinge tutta la realtà visibile, portando alla luce un intero universo da dentro. Questa esposizione ha, tuttavia, un suo prezzo da pagare: vulnerabilità.

Tipicamente, ci apriamo al mondo utilizzando un'antica espressione. Potrebbe essere iniziata così: "Vita, ti temo, sii gentile. Sono innocuo, vedi?" (scarsa fiducia in sé), ma si è evoluta nel tempo in qualcosa come "ti amo quanto me stesso. Che spasso, giochiamo!".

La vita sorride da milioni di anni, con e attraverso noi. Questo è possibilmente il nostro più grande legame e retaggio.


Bisogna ammettere che la regressione del mio sorriso era andata oltre il pecorino[7], al punto da perderlo del tutto. Non riuscivo a sopportare la bellezza in alcuna sua forma, tanto era il dolore che mi provocava. Non appartenevo più alla sua vividezza, o così pensavo.

E dunque avevo ancora più fretta tra i deserti lunari, in modo da tenere la ballerina cosmica - e me stesso - fuori di vista.

Durante un giorno come molti altri, lasciai gli alloggiamenti della base per adempiere una missione di routine: raggiungere punto B. Tutto procedeva secondo i piani - passi agitati, respiro affannoso e quant'altro - fino a quando ebbe luogo un evento, uno che avrebbe cambiato la storia. M'imbattei in qualcosa considerato impossibile fino ad allora.

Vita! Per Giove, c'era vita sulla Luna! E, non a torto, essa mi ignorò per poi sparire di vista.

Di tanto in tanto, di missione in missione, ci furono altri avvistamenti. La curiosità prevalse, gradualmente, sulla mia paura primordiale, cosicché raggiungere punto B incorporò eventualmente operazioni di ricognizione. Il fascino sospendeva la mia preoccupazione relativa a livelli di ossigeno e guasti di sistema, creando spazio per lo sviluppo di una certa baldanza. In men che non si dica, era già contact day.


Come ci si dovrebbe approcciare ad un'altra forma di vita per la prima volta? Ricordo di aver provato trepidazione ed esitazione al tempo stesso. Era egoistico da parte mia? "Smettila di stalkerarlo! Lascialo in pace!", mi ripetevo.

Ciononostante, non ero in grado di resistere, e così feci egoisticamente contatto - nel nome del genere umano, ovviamente.

Più mi avvicinavo e più ero affascinato da questa creatura singolare. Da un'ispezione preliminare, essa apparve come un quadrupede rivestito di una materia organica e fibrosa. Ma il fatto più sorprendente era dato dal suo colore - o piuttosto dalla sua assenza. Avevo dinanzi a me un essere perfettamente capace di mimetizzarsi con l'ambiente circostante, eccezion fatta per i suoi occhi penetranti. La radiosità ambrata e magnetica suggeriva che splendessero di luce propria, come se contenessero da sole ogni goccia della forza vitale della creatura.

Ero sconcertato da un tale contrasto, il quale probabilmente deteneva la chiave della sua sopravvivenza. Due globi di luce scrutanti dal grigio omogeneo.

Provai a comunicare, in modi verbali e non, ma ogni tentativo fallì. Dovevo ancora comprendere il suo linguaggio sottile e pressoché impercettibile. Tale difficoltà era accentuata non solo dalla sua natura diffidente, ma anche dalla sua scarsa pazienza. Contact day si concluse in totale fallimento.


Non essendo riuscito ad ottenere alcun documento identificativo durante le mie ricognizioni, sentii man mano sempre più la necessità di riferirmi in qualche modo alla creatura misteriosa. Tenendo a mente tanto l'integrità scientifica quanto le buone maniere, finii per inserirla nel mio diario di bordo col nome di Mr Grey[8].

Uno dei primi tentativi di contatto con Mr Grey

Sorprendentemente, non mi sentivo scoraggiato. Tutt'altro: il fallimento sembrava alimentare la mia determinazione e la mia eccitazione.

Le missioni stavano per divenire avventure.

1. Lei, di fatto: si dà il caso che fosse una femmina di picchio rosso maggiore (Dendrocopos major).
2. In inglese, essere "oltre la luna" (over the moon) vuol dire essere estremamente felici. L'espressione deriva dalla frase di una famosa nursery rhyme: The cow jumped over the moon (la mucca saltò oltre la luna).
3. 21/07/1969. Alle 02:56 UTC, l'astronauta Neil Armstrong diventa la prima persona a camminare sulla Luna, seguito 19 minuti dopo da Edwin "Buzz" Aldrin.
4. Primary Life Support System, il sistema di supporto vitale (zaino) della tuta spaziale.
5. Aesthetic arrest. Concetto espresso da Joyce nell'opera Ritratto dell'artista da giovane: "Lo splendore di cui egli parla è la quidditas scolastica, l’essenza di una cosa. Questa qualità suprema viene avvertita dall’artista quando per la prima volta egli concepisce nella sua fantasia l’immagine estetica. Shelley ben paragonò lo spirito di quell’istante misterioso a un tizzone che si spegne. L’istante in cui quella suprema qualità della bellezza, il chiaro splendore dell’immagine estetica, viene appreso luminosamente dalla mente, che è stata arrestata dalla sua integrità e affascinata dalla sua armonia, è la stasi luminosa e silente del piacere estetico, uno stato spirituale molto simile a quella condizione cardiaca che il fisiologo italiano Luigi Galvani, con un’espressione bella quasi come quella si Shelley, chiamò “l’incantamento del cuore”.
6. Riferimento umoristico a La Bella e la Bestia (The Beauty and the Beast): Beauty può stare ad indicare sia "bella" che "bellezza" (es. maledice la bella [...] la bella è negli occhi di chi guarda). Il proverbio beauty is in the eye of the beholder equivale alla locuzione italiana non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace.
7. C'è chi fa risalire il sorriso ad oltre 30 milioni di anni fa, facendo tappa alle "smorfie di paura" e sottomissione dei primati per poi finire a quello che conosciamo oggi. Sheepish è un aggettivo ("con le qualità della pecora") utilizzato spesso per descrivere un sorriso imbarazzato, vergognoso, o di chi manifesta insicurezza. La regressione evoluzionistica era dunque andata oltre la condizione di pecora (sheepish smile).
8. Nessun legame o parentela con Mr. Gray, comandante Byrus, pur essendo altrettanto alieno.
 
 
 

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