The Monet Story - Pt 2
- DreamingMonet
- 22 set 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 6 ott 2022
Adoro alzarmi presto la mattina. I giorni assumono una qualità diversa, magica.
Pochi minuti fa sono uscito nel primo freddo stagionale, l'alba intenta a distendersi lentamente dietro l'angolo. Freddo eppure musicale: gli uccelli vivaci come non mai, i piccoli gufi probabilmente infastiditi dalla mia presenza.
E perché mai un'alba dovrebbe evocare Clair de Lune di Debussy nella mia mente proprio non saprei dire. In un qualche modo, possiamo ringraziare Monet anche per questo - il pittore, naturalmente[1].
E dunque eccomi qui, a godere delle mie impressioni ed esperienze. Ed è probabilmente in questo che consiste maggiormente la vita per noi esseri umani: l'esperienza. Una che ci forma, piuttosto letteralmente, a partire dalla nostra struttura cerebrale. E quando le esperienze sono passate, ne facciamo le nostre storie, quelle che raccontiamo a noi stessi e agli altri quotidianamente. Siamo storytellers per natura, al punto da raccontare storie ad occhi chiusi.
Non è forse questo il succo del sognare? Scriviamo la sceneggiatura, scegliamo gli attori e la scenografia, diamo le indicazioni al regista ed infine ci accaparriamo un posto in prima fila per sospendere l'incredulità e goderci lo spettacolo.
La qualità dell'esperienza è di rado quella di "vero o falso" o "giusto o sbagliato" - le quali fin troppo spesso cerchiamo ossessivamente. Un'esperienza contiene sempre, in maniera intrinseca, una verità di un tipo o un altro. Essa offre una chiave per accedere ad un tesoro, corrispondente spesso ad un potere trasformativo. Può piacerci o no, possiamo abbracciarla o respingerla, ma non potremo mai eliminare questa verità esclusiva dell'individuo. E quando proviamo il desiderio di condividerla, si trasforma in qualcos'altro. Appunto, una storia, la quale a sua volta si trasmuta nell'esperienza dell'interlocutore.
Ok, basta menare il can per l'aia - non sia mai che disturbi anche i merli[2].
Come potete immaginare, non stavo granché bene in quell'ottobre 2018. Tale condizione andava avanti da oltre un anno, e stava tutt'altro che migliorando. Un mese dopo, a novembre, mi beccai anche una polmonite che mi avrebbe accompagnato fino al febbraio dell'anno successivo. In tutto, fui allettato per sei mesi, in quella che definirei l'esperienza più terrificante della mia vita.
Preferirei saltare questa parte, ad essere sincero, ma se lo facessi... beh, sarebbe storia soltanto a metà. Del resto, il contrasto svolge sempre un ottimo lavoro nell'estrapolare un'immagine. Quante volte siamo chiamati a guardare laddove risiedono le nostre più grandi paure? E quante volte rifiutiamo la chiamata? Tuttavia, è proprio in tale orrore che si cela occasionalmente la beatitudine.
Non vi racconterò di come sono finito in questo stato pietoso (quella è una storia a sé); vi basti sapere che, tra una gran varietà di sintomi, le mie facoltà mentali erano alquanto compromesse: una difficoltà tremenda, una pressoché incapacità, nel ricordare, parlare, pensare, provare, ecc.
Me ne stavo sdraiato, a letto o sul divano, letteralmente 24 ore al giorno, lottando anche solo per andare in bagno o a nutrirmi. Non è come se dormissi tutto il tempo: mi sentivo sospeso in un limbo, sotterrato vivo, incapace di accedere ai miei pensieri e ai miei ricordi. Un senso terribile di vacua eternità. E quando sentivo che lo stato fosse d'attesa, potevo soltanto chiamare l'oggetto della stessa "morte", "pietà", o entrambe.
Il più che ero in grado di fare era guardare programmi culinari dal divano, senza rendermi conto che in genere erano delle repliche. Senza mai ricordare nomi, trame, o qualsiasi altra cosa.
Ma la vita è tenace, e saggia, e piena di meravigliose sorprese. Ha un talento naturale per i colpi di scena, di quelli che ci fanno venire le lacrime agli occhi e che amiamo chiamare "miracoli".
Un giorno di quello stesso febbraio in cui si placò la polmonite, aprii il mio portatile e decisi di giocherellare con un programma installato tempo addietro e mai utilizzato. Si trattava di un software di notazione musicale, in quanto sognavo da sempre di diventare un compositore un giorno (apertamente o segretamente). Un sogno d'infanzia riposto al sicuro nei recessi del mio cuore.
Iniziai a cliccare sullo spartito vuoto, sulle linee e gli spazi del pentagramma. Ero, ovviamente, piuttosto ignaro di quanto stessi facendo, ma sentivo le note riprodurre il proprio suono nel posizionarle qua e là.
Ed ecco la meraviglia: qualcosa scattò, fece click dentro, nelle mie profondità. Una luce si riflesse sul fondo di un pozzo. Posso soltanto descriverla come la più potente scintilla o accensione, una stella solitaria nata e sospesa in uno spazio d'infinità oscurità. È stata la più intensa delle esperienze, una che non sarò mai in grado di esprimere a parole, la quale mi ha donato la speranza, insieme a molto altro ancora. Fu l'inizio della mia guarigione.
Ora avevo, dunque, uno stimolo che mi stava gradualmente riportando in vita. Iniziai uno spartito che chiamai, in modo appropriato, Test,
che si sviluppò in questo...
... e finì per diventare questo:
Avendo trovato la volontà di lottare contro il male, quale che esso fosse, a cui erano stati assoggettati il mio corpo e la mia mente, iniziai a cercare più che mai aiuto medico (medici, specialisti, ecc.). La triste verità, ahimè, è che nessuno fu in grado di aiutarmi. Sembrava che non si potesse fare proprio nulla.
Ripensandoci oggi, probabilmente mi sentivo un po' come Glenn Cunningham, nel quale avrei successivamente trovato grande ispirazione.
Ero terrorizzato e convinto che avrei trascorso il resto della mia vita con delle capacità molto ridotte e limitanti. I giorni universitari non erano poi così lontani nella mia linea temporale, eppure eccomi lì, incapace di leggere e memorizzare una singola frase.
Il fatto positivo della musica, tuttavia, era proprio questo: non era necessario ricordare quanto stessi facendo, poiché tutto sarebbe rimasto sullo spartito, offrendo la possibilità di riprodurne successivamente il contenuto a proprio piacimento.
Questo mi aiutò, miracolosamente, a recuperare gradualmente alcune funzioni e capacità senza troppa frustrazione: il feedback uditivo immediato era gratificante e privo di stress. Era, come dire... divertente.
Dopo Test, iniziai a lavorare su Test 2, col quale gingillai finché non suonò così:
Avviata questa lenta ripresa, nel marzo 2019 iniziai a scrivere Sea of Happy-Long-Ago, la prima composizione contenente un testo. A questo punto realizzai che se da un lato la lettura sembrava pressoché impossibile e vana, dall'altro la scrittura poteva perlomeno condurmi da qualche parte. Certo, ero equamente incapace di ricordare le mie stesse parole, ma almeno esse sarebbero rimaste. Giorno dopo giorno le trovavo lì ad attendermi, così come le note.
Era la sensazione più singolare: la sensazione che qualcun altro avesse scritto le righe precedenti, o che stessi ricevendo dei messaggi da un universo parallelo.
Sea of Happy-Long-Ago era destinata a diventare la mia prima canzone e demo. In altre parole, gettò le basi per la mia attività di cantautore.
Quando ripenso a quanto accaduto, a quella scintilla, ancora oggi non riesco a trattenere le lacrime. Fu come se una voce dal profondo si offrì di prendere la parola e parlare al mio posto. E quello che pronunciò allora ha senso per me oggi più che mai.
Sono rimasto stupito quando, in tempi recenti, mi sono imbattuto in un aneddoto relativo alla famiglia Joyce. La figlia di James Joyce, Lucia, fu diagnosticata come schizofrenica, e suo padre chiese al dottor Jung di prenderla in cura.
Troverete diversi resoconti, ma il succo è sempre lo stesso. Uno recita come segue:
"Dottor Jung, ha notato che mia figlia ed io sembriamo sommersi nelle stesse acque?", al che rispose: "Sì, ma laddove tu nuoti, lei annega".
E questo è quanto la mia psiche - tanto vale chiamarla così - ebbe a dire[3]:
Nel Mare di Felice-Tempo-Fa
navigano molti matti Mi domando se c’incontreremo
Mi costruirò una barchetta di carta
e dondolerò dolcemente sulle onde mortali
Dovrei tuffarmi o affondare nelle mie stesse acque, Signore mio?
Chissà
Poi si levò una tempesta e mi colpì duramente,
brodaglia lavaggio del cervello Tutte le luci si sono spente
Bambini ridono dalla Costa di un Tempo
Il suono mi sveglia Che possa essere la mia dimora?
Ricordi, per favore restate e
offritemi riparo, non ve ne andate
Non ve ne andate
Non sono uno psicanalista, ma credo che il paesaggio sia alquanto analogo. La mia psiche sapeva esattamente dove si trovava, e fece tutto ciò che era in suo potere per nuotare in mezzo a quelle onde mortali.
Di lì a poco, a mia insaputa, un'ulteriore figura sarebbe giunta in mio soccorso. Nessun Carl Jung, soltanto il mio amato dottor Monet.
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